Pubblicato originariamente su Il Colophon il 12 dicembre 2016.


Come sta crescendo la conversazione attorno ai libri grazie al web di Erika Marconato

La copertura mediatica sul mondo della lettura non è mai stata così ampia: caccia alle identità segrete di scrittori/scrittrici; articoli sensazionalistici sul (presunto) stato di salute del mercato editoriale; fiere e case editrici che si moltiplicano (con le annesse polemiche); premi letterari che occupano per giorni le pagine dei giornali e — addirittura — un talent show per scrittori. Sembra proprio che negli ultimi anni si parli solo di libri. Eppure il 22,8% degli editori ritiene che ci sia una scarsa attenzione ai libri da parte dei media — fonte ISTAT. Eppure, siamo un paese che non legge. Eppure “eh, non ci sono più gli scrittori di una volta”. La verità è che, se da una parte, il mercato editoriale è enorme e complesso (e i numeri non sempre lo riescono a descrivere chiaramente), dall’altra, i lettori hanno abitudini diverse e non sempre misurabili (certo le vendite si misurano, i prestiti in biblioteca pure, ma che succede quando un libro viene prestato ad un amico? Quando un lettore legge una storia su Wattpad? Quando un lettore scarica copie piratate di un ebook? Quando un libro viene fotocopiato e diffuso? Quando un libro viene riletto? E se le pubblicazioni seguono vie non tradizionali — ad esempio lo scrittore decide di seguire i passi di David Mitchell e pubblica un romanzo su Twitter?). Data questa premessa, ISTAT ci informa che — in media — il 42% degli italiani ha letto un libro nell’ultimo anno. Ci informa anche che, sempre in media, ognuno dei 1.658 editori attivi nel 2014 ha pubblicato 37,4 titoli. In media significa che, con le parole di Vincenzo Patruno in Statisticamente Honky Tonk, “c’è chi mangia due polli e chi invece nessuno, ma statisticamente ognuno ne mangia uno”: alcuni editori avranno pubblicato 100 titoli, altri 10; alcuni lettori avranno letto 1 libro, altri 100. Il mercato editoriale, fatto di oggetti da vendere e clienti-lettori da conquistare è sempre più affollato. Si stampano sempre più libri per sempre meno lettori. Attirare nuovi clienti-lettori è imperativo. Peccato che ai lettori interessi ben poco di essere attirati: orientarsi tra le 61.966 uscite annuali diventa un’impresa quasi paragonabile alla fatica di Sisifo.
In quanto azienda, ogni casa editrice ha una precisa strategia di marketing e pubblicità, delineata in base — si spera — a studi di settore specifici, a previsioni di costi fissi e variabili, a budget definiti. Il che spiega l’esplosione di autobiografie e simili da parte di youtuber poco più che ventenni: vendono. I lettori, però, sono sempre più impermeabili al marketing top-down (io Casa Editrice informo te Povero Lettore di quali sono le pubblicazioni che dovresti leggere): cartonati in libreria, pile di libri in negozio, riviste con le ultime uscite, spazi pubblicitari nelle riviste. Tutte soluzioni che funzionano fino ad un certo punto. Come per molti altri prodotti, una delle strade più efficaci è il passaparola: ecco quindi che nascono servizi come Goodreads o Anobii, per tracciare le proprie letture, spiare negli scaffali degli amici e ricevere suggerimenti automatici. I punti deboli di queste soluzioni sono proprio, da una parte, gli automatismi, dall’altra la mancanza di personalizzazione: certo, come lettore posso cercare ed aggiungere libri, vedere cosa ne pensano i miei amici e, perfino, leggerne le recensioni, ma, spesso, i libri potrebbero non essere stati inseriti ed intavolare una discussione su queste piattaforme diventa piuttosto complicato.
Un sistema di passaparola molto più efficace sono i consigli spontanei: quella persona che legge molto e parla in maniera accorata delle proprie letture. Parte di questi confronti avvengono in maniera molto informale e poco tracciabile. Parte no.
Il primo modo per orientarsi nella giungla delle pubblicazioni (e partecipare ad una conversazione attorno ad uno specifico titolo) si chiama “gruppi di lettura”: insiemi di persone che leggono in privato un libro scelto in comune, dopodiché ne discutono e lo analizzano in una discussione di gruppo. Solitamente questi scambi sono mediati da uno o più facilitatori. Spesso i gruppi di lettura sono proposte fatte dalle biblioteche ai propri utenti, ma non è così per tutti i gruppi.
Ogni insieme ha, però, una o più persone addette alla proposta/cernita dei titoli: per dirla con un inglesismo, dei veri e propri content curators (figure che si occupano di scovare informazioni rilevanti per un argomento particolare o una specifica area di interesse, informazioni che, in questo caso, si traducono in libri da proporre). Dato che, spesso, il mondo digitale rispecchia il mondo fisico, moltissimi gruppi di lettura sono nati anche online, tra persone che hanno in comune la passione per la lettura. I facilitatori hanno la responsabilità di creare uno spazio per la discussione ed ognuno sceglie il luogo “virtuale” che ritiene più adatto (e, di solito, anche il libro atto allo scopo). Per esempio Federica Frezza, la booktuber — ossia persona su YouTube che parla di libri e letteratura — dietro Prismatic310, organizza dirette mensili con il suo gruppo di lettori attraverso YouNow. Oppure Jess, la donna dietro PennylaneOnTheTube, ha organizzato il suo Salotto Letterario su Facebook: un gruppo su invito dove, al momento, mentre scrivo, si sta discutendo de I Buddenbroock di Thomas Mann. Come ogni gruppo di lettura, anche questi hanno le loro regole dettate soprattutto dalla virtualità degli incontri (ad esempio che i libri vengono proposti da una persona sola, che gli argomenti vengono discussi in un certo ordine), ma, pur essendo digitali, non sono molto diversi dai gruppi di lettura offerti dalle biblioteche.
La necessità di trovare letture rilevanti riguarda tutti i lettori, non solo quelli organizzati in gruppi. Ecco quindi che vari attori del mercato del libro cercano nuovi modi di far crescere una conversazione attorno ai loro prodotti. Ad esempio, la libreria Le notti bianche di Vigevano e Ilenia Zodiaco, booktuber milanese, hanno creato la rubrica #Sceglindipendente per promuovere le novità più interessanti tra le pubblicazioni degli editori indipendenti: la libraia invia i libri alla lettrice, che fa un video che fa nascere una conversazione attorno ai libri scelti. Anche gli scrittori si muovono nella direzione che porta alla creazione di nuovi luoghi di discussione: nel canale WordNerds su YouTube un gruppo di scrittrici e appassionate di libri young adult offrono consigli di scrittura (e lettura) a chiunque decida di cliccare, dissezionando il mondo del mercato editoriale e parlando pure dei libri di cui sono autrici (senza entrare nella categoria spam, proprio perché parte di una conversazione organica e utile). Alcune case editrici decidono, a loro volta, di partecipare al dialogo: in particolare l’inglese Penguin Random House UK ha creato un canale YouTube — i cui contenuti sono curati da vari booktuber — intitolato VintageBooks (in cui raccoglie interviste e recensioni per la sua collana Vintage Books, per l’appunto); anche l’inglese Pan Macmillan ha creato un canale YouTube aziendale i cui contenuti sono creati da booktuber inglesi — la descrizione del canale recita più o meno “per gli amanti dei libri e dagli amanti dei libri. Sempre la Penguin Random House UK ha assunto Sanne (del canale booksandquills) come Social Media Producer; l’italiana EdiCart ha scelto di collaborare con la blogger Ilaria Rodella per il lancio di Once upon a zombie: se fai parte della community dei lettori, forse sai meglio di altri come farci partecipare alla conversazione, sembrano dire queste scelte.
Insomma, quello che i numeri di ISTAT sembrano tralasciare è proprio l’aspetto emozionale dell’oggetto libro. Aspetto che fa scegliere un libro ad occhi chiusi (perfino i negozi di Feltrinelli hanno organizzato delle sezioni di appuntamenti al buio con i libri, in cui si trovano libri avvolti in anonima carta da pacchi pronti ad essere acquistati da lettori curiosi). Aspetto che lascia ai lettori la voglia di fare “qualcosa” per/con i loro libri preferiti (basti pensare alle varie presentazioni organizzate da appassionati; alle folle di curiosi che si trovano nei vari saloni letterari; ai book trailer, spesso realizzati amatorialmente. Oppure anche a BooksandQuestions che “riscrive” i testi di Shakespeare con i pupazzi a dita). Aspetto che fa iscrivere migliaia di lettori ai canali in cui si parla di libri, nella speranza di trovare il prossimo amore letterario.
Il lato legato alle emozioni è anche quello che rende curiosi i lettori rispetto al dietro le quinte. Quindi gli scrittori si raccontano in varie forme: tramite interviste (ad esempio per i blog come World of Writers o Letto&detto), tramite video in cui assumono la veste di lettori (come fa Jen Campbell nel suo canale YouTube), tramite aggiornamenti sui social network (come ha deciso di raccontarsi Stefano Sgambati nel suo profilo Facebook). Quindi la blogosfera si riempie di articoli sul mercato editoriale (su tutti Il Post, noto quotidiano online, che ha rilasciato una serie di articoli sui contratti per gli scrittori, sulle modalità di vendita dei libri all’estero, sul mondo delle traduzioni) e i social diventano sempre più libreschi (oltre a YouTube, è stato invaso anche Instagram dai bookstagrammer, Facebook dai gruppi per i consigli di lettura, Twitter da hashtag legati ai libri sempre più spesso negli argomenti in evidenza o trending topics). Ogni aspetto dell’oggetto libro trova qualcuno che lo analizza, lo spiega, lo racconta (per il design di copertine e affini basta fare un giretto per il canale Holly Dunn Design; per l’illustrazione FranNerd di Fran Meneses; per tutto ciò che riguarda le biblioteche uno qualsiasi dei canali social della New York Public Library).
I lettori, ma non solo, si stanno pian piano rendendo conto di non essere solamente i destinatari di una comunicazione dall’alto. Lettori, scrittori, librai e curiosi in generale cercano nuove forme di conversazione, sia con le case editrici, sia tra di loro. Ogni lettore diventa — potenzialmente — critico letterario. Se non critico, almeno autorizzato ad esprimere pubblicamente le proprie opinioni attraverso recensioni più o meno articolate, con linguaggi più o meno “letterari”: c’è chi, come l’autrice de I dolori della giovane libraia sceglie i fumetti — ma non solo, c’è chi sceglie le parole scritte (come Erica, autrice del blog La leggivendola, o gi autori di Carmilla on line o minima&moralia), c’è chi sceglie l’oralità dei menestrelli per raccontare i libri (come Mattia di The Bookchemist — che si concentra sulla letteratura nordamericana, oppure i collaboratori del programma radiofonico Fahrenheit di Radio3), c’è chi si concentra sulla parola e basta (Luisa Carrada con il suo blog mestierediscrivere ne è un esempio straordinario). Dire che l’Italia non è un paese di libri o di lettori, forse è vero. Forse è solo una limitazione: ogni lettore, biblioteca, libreria, scrittore, editore contribuisce a creare un percorso unico tra gli oggetti-libri, una rete variegata ed invisibile di storie, narrazioni, ricordi, parole, consigli, recensioni, scambi ed esperienze. Insomma, non UN paese di libri, ma tanti paesi di libri.


Immagine di copertina: Joy VanBuhler287/365 – Magazines – Flickr CC BY NC ND