Pubblicato originariamente su Il Colophon il 2 agosto 2016.


Un breve viaggio tra burlesque e letteratura di Erika Marconato

Burlesque.
Se leggendo questa parola l’associazione è stata con la casa del politico, sei fuori strada. Se l’associazione è nata con il film omonimo con Cher e Christina Aguilera, è un po’ più vicina, ma ancora piuttosto lontana.
Treccani definisce il burlesque: “Spettacolo satirico fiorito in Inghilterra nel 18° secolo. Nell’Ottocento venne acquistando carattere sempre più parodistico e farsesco. Importato negli USA, vi riscosse grande successo; nel tardo 19° sec. consisteva in canzoni, caricature, danze di ballerine, col tempo sempre più svestite”. Di fatto è una parodia: donne e uomini decidono di lanciare un messaggio, togliendosi i vestiti. Prima del glamour dell’esibizione, c’è un processo molto letterario: ispirazione, approfondimento/studio, creazione e sviluppo di un personaggio, realizzazione e relazione con un pubblico. Molto di questo lavoro, esattamente come nella letteratura, viene svolto dietro le quinte, lontano dai glitter della ribalta. Gli artisti passano molto tempo a cercare contaminazioni, ad alimentare il loro processo creativo, a esporsi a varie influenze per migliorare le loro performance: circo, teatro, letteratura, musica, cinema, politica tutto rientra in questo processo di preparazione.
Le ballerine e i ballerini di burlesque sono, innanzitutto, attori, commedianti che trovano un modo nuovo e creativo di remixare la realtà attraverso un costume (e il modo in cui cade a terra). Esattamente come Chaucer ne I racconti di Canterbury o Boccaccio nel Decameron. Entrambe le opere letterarie raccontano in maniera allegorica di una realtà diversa da quella degli autori. Entrambi gli autori decidono di servirsi di una lingua non ufficiale per dipanare le loro novelle. Entrambi gli autori hanno bisogno di esprimersi in modo diverso dai loro contemporanei. Da un lato omaggi, dall’altro espressioni artistiche complete. Talvolta, così diverse dall’originale da non poterne più riconoscere la fonte. Così diversi da diventare unici (come dimostra la saga del Don Chisciotte della Mancia di Cervantes, ben più noto dei poemi cavallereschi di cui si prende gioco).
Questa esigenza di trovare storie nuove, pur omaggiando quelle passate, non riguarda solo la danza e la letteratura, ma anche la musica. Partendo da Strauss, fino al jazz, alla musica pop e alle composizioni elettroniche, sono innumerevoli le composizioni burlesche: da una parte parodie, dall’altra composizioni nuove. Chi potrebbe riconoscere le note originarie contenute nei pezzi di Girl Talk (famoso DJ, protagonista del documentario RIP! A remix manifesto edito Feltrinelli)? Cosa rende i suoi remix meno unici delle canzoni di Queen o Jackson 5 da cui prende i beat?
L’avvento della tecnica (intesa aristotelicamente sia come mezzo al servizio di altro, che come attività regolata in se stessa) ci permette di interpretare sempre più profondamente — e facilmente — il mondo in cui ci troviamo. L’espressione artistica, qualsiasi espressione artistica, diventa un linguaggio portatore in sé di cambiamento. All’inizio del Novecento, un’opera come Tutti i colori del mondo di Giovanni Montanaro sarebbe stata impensabile. Negli anni Dieci del Duemila, uno scrittore può immaginare un mondo in cui esiste una ragazza di nome Teresa che scrive lettere d’amore a Van Gogh. Come avrebbe potuto Montanaro scrivere questo libro, se non si fosse egli stesso innamorato del pittore? Come avrebbe potuto innamorarsi del pittore se le sue opere fossero state lontane, irraggiungibili? Come avrebbe potuto fruire dei quadri, se non fossero diventati popolari, diffusi, riproducibili?
Quando nasce un’opera d’arte è impossibile prevederne la vita, il successo, l’impatto sull’immaginazione delle persone. Van Gogh non poteva immaginare che un paio di secoli dopo uno — o molti — avrebbero trovato i suoi quadri così densi di significato da sentire l’esigenza di rimaneggiarli e raccontarli in modo nuovo. Così come i creatori del mondo di Super Mario non potevano prevedere l’impatto che l’idraulico con la tuta rossa e i baffoni avrebbe avuto. Non parliamo solo degli innumerevoli gadget con uno o più elementi presi dalla grafica del videogioco o della persona in coda davanti a noi al supermercato che ha la colonna sonora di SuperMario come suoneria. Parliamo dell’azienda di mattoncini che ha degli omini a forma di Mario o Luigi o Bowser. Parliamo delle make up artist che usano Mario per esprimere la loro bravura. Parliamo di una scrittrice che forza Peach fuori dai finali noti (il libro in questione si intitola Il segreto di Peach è scritto da Giorgia Colli ed è edito da Nativi Digitali Edizioni). Con un processo molto simile a quello delle ballerine di burlesque, scrittori, musicisti e creativi in generale trovano il modo di raccontare nuove storie, includendo vecchie narrazioni.
Tornando per un momento a boa di piume e corsetti scintillanti, cosa c’è di più decadente di togliere la patina dorata e spiare dietro al glamour? Nulla. Eppure, anche da questo, troviamo registi che creano narrazioni nuove. Mathieu Amalric nel suo On Tour del 2010 fa proprio questo: mostra la vita dietro a Swarovski e luccichii vari, creando al contempo un nuovo prodotto, una nuova storia. Allo stesso modo, Zoran Živkovic ci racconta nel suo Il ghostwriter (2012, edito TEA) di uno scrittore frustrato e privo di ispirazione che ritrova l’amore con la musa perduta proprio attraverso dei pastiche, degli esercizi burleschi. Uccidendo l’idea romantica della figura dello scrittore, Živkovic crea a sua volta una piccola novella che può essere definita “burlesque”.
Lasciando la decadenza visibile (la ballerina che si ripara dietro il boa di piume), siamo sicuri che molti degli esempi citati possano essere percepiti come decadenza intellettuale, scambiando gli omaggi con pigrizia, le influenze con sciatteria, le nuove creazioni con mere copie. Già dal Quindicesimo secolo gli artigiani erano destinati a lavorare in bottega con i maestri che avrebbero insegnato loro i segreti del mestiere. Quanti capolavori non avrebbero visto la luce senza le ispirazioni di quel periodo di apprendimento forzato? In questo secolo, fortunatamente o meno, gli stimoli che accendono la creatività degli artisti sono innumerevoli. Anche la figura dell’artista è cambiata: ora uno scrittore può fare fumetti (vedi Neil Gaiman); un pittore può eseguire installazioni (vedi Bansky) e via dicendo. Il risultato di tutta questa opulenza è che abbiamo accesso molto più spesso ai dietro le quinte, alle “botteghe” in cui si rivela la triste verità: le ballerine degli spettacoli di burlesque si rammendano il boa di piume e si lamentano della scomodità del costume di scena. Ciò non toglie che sul palco siano bellissime. Vere performance artistiche.


Immagine di copertina: Joy VanBuhler287/365 – Magazines – Flickr CC BY NC ND