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Tag: civic hacking

Hot air baloon

Chiudiamo la newsletter #CivicHackingIT. Qui ti racconto perché

A seconda di come interpreti il “successo”, quella di #CivicHackingIT è una newsletter che andava molto bene o molto male.

Molto bene perché abbiamo avuto un aumento costante degli iscritti, il tasso di apertura è sempre stato ottimo (ogni singolo numero aveva un tasso di apertura sopra il 60%) e in più di tre anni abbiamo avuto solo un paio di disiscrizioni.

Molto male perché, nonostante fossero molto affezionati, i nostri lettori sono pochi (la nostra è una nicchia decisamente piccola), non abbiamo mai trovato un modo per renderla un lavoro – o quanto meno sostenibile – e non siamo stati in grado di farla uscire dalla nostra bolla.

Comunque la vedi, io e Matteo abbiamo deciso che è il momento di chiuderla, almeno nella forma che ha avuto fino ad ora.

Perché chiudere un buon prodotto editoriale?

Non c’è dubbio che #CivicHackingIT sia un buon prodotto editoriale: in particolare sulla newsletter, diverse persone ci hanno tenuto, negli anni, a farci sapere che era un lavoro ben fatto, che la consideravano una fonte preziosa e che, più in generale, la leggevano volentieri.

Dipinto di un'officina

Cara PA mi aiuti ad essere un cittadino migliore?

La diffusione del civic hacking, anche in Italia, ci mette di fronte ad un problema piuttosto stringente: qual è il ruolo delle Amministrazioni Pubbliche oggi?
un governo come piattaforma. [Tim O’Reilly] Ha preso in prestito una metafora di Don Kettl sul governo come distributore automatico (ossia dove metti i tuoi soldi e ti esce il servizio che ti serve) e ha chiesto di reimmaginare il governo come piattaforma per azioni collettive. Come risultato, gli impiegati governativi devono pensarsi meno come AOL nei giorni felici, quanto come la Apple che abilita centinaia di applicazioni di terze parti per l’iPhone. Nel modello “distributore automatico”, se i cittadini vogliono cambiare qualcosa (per così dire), tutto ciò che possiamo fare è scuotere la macchinetta. Se il governo costruisse una piattaforma che abilita la partecipazione, i cittadini potrebbero creare il cambiamento che desiderano.

10 abitudini italiche sul civic hacking di cui si può fare a meno

[Foglietto illustrativo da leggere attentamente prima di inoltrarsi in questo blogpost.]

Probabilmente ci sono più imprecazioni di quante te ne aspetti da me (a meno che non ci conosciamo di persona, quindi sai che tipo di scaricatore di porto posso essere quando mi infastidisco).

Se non c’è il tuo nome e cognome, non sto parlando di te. Ti riconosci in quello che scrivo? Probabilmente hai la coda di paglia e senti puzza di bruciato, ti assicuro comunque che non c’è niente di nascosto fra le righe, non ce l’ho con te personalmente – altrimenti te l’avrei fatto sapere – e non sto cercando di mandarti a quel paese con un messaggio cosmico cifrato. Se, invece, ti ho girato direttamente questo link, fatti due conti.

Non ho la verità in tasca, altrimenti sarei un oracolo – il che probabilmente si tradurrebbe in uno sballo costante causato dai fumi tossici e, per quanto possa sembrare divertente, non credo lo fosse poi così tanto. Queste sono cose di cui IO mi sono stufata: se la pensi diversamente o trovi che abbia scritto cazzate, possiamo confrontarci civilmente. CIVILMENTE. Altrimenti, molto semplicemente, anche no, grazie.

[Fine del foglietto illustrativo da leggere attentamente prima di inoltrarsi in questo blogpost.]

In questi mesi sono successe un paio di cose che mi hanno attivato i neuroni. La prima sono stata in vacanza (e in aeroporto ho comprato la versione inglese di Il magico potere di sbattersene il ca**o. Come smettere di perdere tempo (che non hai) a fare cose che non hai voglia di fare con persone che non ti piacciono di Sarah Knight). La seconda, decisamente meno piacevole, è caduto un ponte in Liguria e sono stata coinvolta su una discussione a riguardo su Twitter, che non segnalo perché, alla fin fine, non ho partecipato. Sarà che Twitter è uno strumento comunicativo che non mi fa impazzire, sarà che ho bisogno di prendermi del tempo per evitare di dire cazzate, ma a quella discussione proprio non volevo prendere parte. Oltre a non essere d’accordo con l’assunto di partenza (il primo tweet della discussione asseriva letteralmente che ci sarebbe bisogno di fare una mappatura in modalità crowd dei ponti in Italia e del loro stato di manutenzione), tutta la cosa mi faceva sentire a disagio: capivo la necessità di fare qualcosa dopo una tragedia, ma la modalità mi sembrava quanto meno populistica.  In più, dall’alto della mia formazione umanistica, non è che proprio mi sentissi a mio agio a dire qualcosa sullo stato delle infrastrutture.

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