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10 reazioni alla pubblicazione del mio racconto

Da un paio di settimane è disponibile il mio racconto sugli ebook store (il titolo: “È questa la fine?” – se non ce l’hai ancora, corri a comprarlo!).

Io sono mooolto fortunata e intorno ho persone davvero comprensive, che, per lo più, si sono interessate al mio lavoro. Una pubblicazione è comunque un buon argomento di conversazione e, a volte, l’entusiasmo mio e degli amici mi ha portato in complesse conversazioni con semi sconosciuti (alcuni anche stranieri) che hanno avuto delle reazioni davvero divertenti. Chissà se capita anche ad altri scrittori (Giulia Greco e Susanna Trossero, ad esempio, hanno pubblicato anche loro un racconto per ePink. Mariantonietta – la nostra instancabile editor – ha scritto qualcosa pure lei, ma non mi hanno mai raccontato com’è andata per loro). Spero che me lo facciano sapere ;).

Se riconoscete la vostra reazione, non inc….tevi: vi voglio bene lo stesso e, se vi ho inserito, è perché mi avete causato un momento ilare :).

1a. Chissene…


Per fortuna, di queste ne ho avute poche, ma il nostro lavoro spesso ci entusiasma al punto da diventare molesti. Non sto parlando solo di scrittori: idraulici, facchini, camerieri, blogger, developer e chi più ne ha più ne metta. Siamo tutti a rischio :).

1b. Complimenti!


Tra le righe, spesso, c’era un sottilissimo “Prendo atto. Punto.”, ma valgono lo stesso, no?

2. Beh, leggi talmente tanto..


Chiariamo una cosa: sì leggo molto e sì Stephen King ha detto che per essere buoni scrittori, bisogna innanzitutto essere grandi lettori. Ma NON VALE IL CONTRARIO! Non tutti i lettori hanno il desiderio di mettersi in gioco con la scrittura. Come non tutti gli amanti del vino sentono il desiderio di aprire un’azienda agricola (non una cantina – che nel paragone sono gli editori). Se non vale per gli appassionati di vino, perché deve valere per gli amanti dei libri?

Ps: il fatto che la lettura faccia parte della mia dieta quotidiana mi aiuta, ma di certo non fa di me una scrittrice.
Ps2: grazie a Goodreads, ho scoperto che ci sono persone che leggono molto più di me, tuttavia nella comunità dei lettori sono assolutamente nella media.

3. Quanto tempo ci hai messo?


Questa è la domanda delle persone con formazione scientifica (almeno nella mia cerchia). Di solito seguita da: “come fai? Per me sarebbe uno sforzo titanico. Anche con i temi a scuola facevo fatica a riempire una colonna e mezza!”.
Premesso che ognuno di noi ha un tipo diverso di intelligenza – i numeri non sono per niente miei amici, ad esempio – per soddisfare la necessità scientifica di misurazione ho fatto due conti:

Prima stesura: circa 200 ore
Prima correzione (typo e grammatica): circa 20 ore
Seconda stesura: circa 100 ore
Seconda correzione (buchi narrativi, altri typo, altra grammatica, sonorità delle parole): circa 65 ore
Varie (mail con l’editor, mail con la casa editrice, contatti e colloqui con i primi lettori): circa 50 ore.
Totale: circa 435 ore (pari a più di diciotto giorni, se ci avessi lavorato giorno e notte, cosa che ovviamente non ho fatto).

Ho lasciato fuori il tempo in cui la storia ha bisogno di maturarti dentro e fermentare; le pause tra una lettura e un’altra e il tempo di ricerca (perchè non riesco a quantificarlo visto che è cominciato ben prima della stesura del racconto).

Un breve estratto e ringraziamenti vari

Finalmente è online

Da questa mattina il mio racconto si può acquistare! Gaudio e tripudio!

Non vi piace Bookrepublic? Lo trovate anche su Amazon, Ultimabooks e Net-ebook, l’ebook store di Mediaword. Per ora, è disponibile solo in formato digitale, per cui niente carta, mi spiace.

Non siete ancora convinti? Lo so, comprare un ebook a scatola chiusa (anche se costa meno di un cappuccino) sa di fregatura. E le sinossi, a volte, mentono (non la mia, giurin giurello).
Ecco perchè ho pensato di regalarvi le prime dieci righe del racconto :).

Breve estratto

È questa la fine? Voglio dire una lama ti colpisce mentre te ne stai per i fatti tuoi ed è immediatamente finita?

È questa la fine? Cazzo, maledetta tu e il tuo spray al peperoncino: per schivarlo ho sbattuto la testa e mi sa che non va bene per niente.

Mi sento tradita: ho sempre amato questa città. Il Duomo con la sua piazzetta piena di adolescenti; piazza Capitaniato e le sue panchine tranquille (in più, quando sei fortunato, la deliziosa bancarella dei libri usati); il Portello, zona di ingegneri e psicologhe. Perché è successo a me? Perché io?

A me questa città ha sempre fatto vomitare: ci sono finito per caso, dopo aver sognato il Bo. Mi ha colpito sognare quell’università del cavolo. All’inizio, non sapevo nemmeno che fosse un ateneo. Non l’avevo mai visto, neanche in foto, ne sono più che certo, anche se a questo punto non sono sicuro di nulla.

Ringraziamenti

Se volete sapere come continua, compratelo :).

Chiunque vi dica che fare lo scrittore è un lavoro solitario, non sa di cosa parla.

Persolmente ho avuto varie persone intorno che mi hanno aiutato:

  • Mariantonietta Barbara, che mi ha spronato e incoraggiato. Mi ha anche fatto l’intervista che trovate sul blog di Graphe.
  • Roberto Russo, il capo di Graphe, che, oltre ad aver lanciato ePink, è stato sempre più che celere nel rispondere alle mie mail.
  • Ida Leone, una grammar nazi che con me e con questo racconto è stata più che gentile.
  • Marco Brandizi, che ha pazientemente segnato in giallo tutti gli errori di battitura, rimandandomi a studiare la grammatica con un amichevole calcetto sul deretano.
  • Alessio Biancalana. Sker è romano per lui, che va in giro per l’Italia a spaventare i camerieri con minacciosi “Dajè!”.
  • Manuel Giollo, che non legge, ma il mio racconto sì.
  • Veronica Traversi, che, nonostante alcune cose la urtassero, mi ha dato un feedback onesto e rispettoso.
  • Matteo Brunati, ovviamente. Che ,a volte, resta senza parole.


  • Ida, Marco, Manuel, Veronica e Matteo sono stati le mie cavie volontarie e senza di loro, probabilmente, questo racconto non sarebbe bello com’è.
    Per cui, anche se l’ho scritto da sola, tra uno scatolone e l’altro, non è assolutamente il prodotto di un lavoratore solitario :).

    Fatemi sapere cosa ne pensate.

    Di cosa parla il tuo racconto?

    Ho scritto un racconto, quindi la famosa domanda “di cosa parla?” la aspettavo al varco.

    La copertina rosa del mio racconto - emozione!

    La copertina rosa del mio racconto – emozione!


    L’editore mi ha fatto scrivere una sinossi (per cui, se vi interessa una piccola risposta c’è):

    Anna è una ragazza normale, quasi comune, innamorata della città dove vive e con il sogno di diventare medico. Fin da piccola è sempre stata una ragazza per bene. La sua vita si svolge praticamente solo dentro l’ospedale in cui lavora. Solo la sua migliore amica, Alice, riesce a farla uscire ogni tanto.
    Andrea è un ragazzo che vive di espedienti da quando, a sedici anni, ha lasciato la casa romana dei suoi genitori. Furbo e pieno di risorse, è perfettamente in grado di ottenere quello che vuole. Tranne la cosa più importante per lui.
    Si incontreranno a Padova, legati da un segreto che solo uno dei due conosce. Aule studio, librerie e bar fanno da sfondo a questa ricerca di sé e dell’altro, che si rivelerà essere un’ossessione in piena regola.

    Ma io queste cose le odio. Davvero. Da quando, alle superiori, mi chiedevano “di cosa parla questa poesia?” e io dovevo ridurre qualcosa di magnifico alle mie povere parole.
    In questo caso le parole sono mie in entrambi i casi, ma ho la sensazione di tradire me stessa a fare un riassunto del mio racconto. Preferisco raccontarvelo in un altro modo: attraverso la sua creazione.

    Com’è nato 1: Padova

    La città del Santo è dove ho studiato, dove ho vissuto da sola per la prima volta, dove ho ambientato il mio racconto.
    Quando Mariantonietta, curatrice della collana ePink, mi ha detto che cercava racconti ambientati in Italia, Padova era lì in un angolo della mia mente colma di ricordi (alcuni piacevoli, alcuni meno) da cui attingere. E urlava a gran voce di farla uscire.
    Se la storia di Anna e Andrea sembra plausibile è solo grazie a Padova: i posti sono i miei, quelli che ho amato (e amo tuttora) – il bar Maximilian mi ha accolto per anni, la piazzetta del Duomo è stata cornice di molti miei pomeriggi, l’aula studio in via Tito Livio è stata mia compagna per 150 ore.
    Alice ha un po’ di tutti gli amici dell’università; Anna ha un po’ di tutti gli studenti fuori sede che ho conosciuto.
    Anche la violenza è di Padova, sebbene, personalmente, non mi sia mai successo nulla. Quando la frequentavo quotidianamente, la città del Santo era praticamente militarizzata: c’erano soldati ad ogni angolo e vigili e carabinieri. Il senso di pericolo era costante, volente o nolente la guardia era sempre alzata. Ciò nonostante, io tornavo la sera tardi a piedi da sola, prendevo i mezzi e vivevo la mia vita, senza che mi sia mai stato torto un capello.

    Com’è nato 2: Anna

    Anna è la protagonista di questo racconto.
    Padova è donna, quindi lo è anche Anna.
    Anna è medico, per due motivi. Il primo riguarda me: il corpo umano è una macchina che mi affascina da morire. Il secondo rigurda Padova: moltissimi studenti arrivano all’università patavina con il sogno della medicina. Alcuni ce la fanno, altri semplicemente, ripiegano verso altri corsi, con l’idea di riprovare. La mia eroina ce la fa: riesce ad essere medico, ma a prezzo della sua vita privata. Vorrei dire che questo è un parto della mia immaginazione, ma non è così. Ho visto conoscenti esaurirsi giorno dopo giorno, tra i corridoi dell’ospedale universitario, per provare a farcela.

    Com’è nato 3: Andrea

    Sker-Andrea ha qualcosa di tutti i senza tetto che vedevo passando. Ha qualcosa di tutti quelli che provano a venderti qualcosa mentre passeggi (chi passa abitualmente per Corso del Popolo sa a cosa mi riferisco). Inoltre, c’è un pizzico di Padova anche in lui: quella volta che ho visto il contorno di un cadavere segnato con il gesso; quella volta che ho quasi assistito ad un aggressione (scampata solo perchè la poveretta era riuscita ad infilarsi in un portone blindato); quella volta che hanno recuperato un cadavere dal Piovego (no, non ho visto il cadavere).
    Volevo che avesse una voce sua perchè spesso le persone che vivono per strada non ce l’hanno. Non conosciamo la loro storia e non ci interessa scoprirla. Ed ecco perché è diventato un romanzo a due voci.

    Le parole, i collegamenti, la trama sono nati tutti in seno a questo trittico, perciò è di questo che parla il racconto. Parla anche di me, inevitabilmente, ma lo si scopre solo se mi si conosce (o almeno così mi hanno detto i miei primi lettori).

    Lo trovate da domani negli ebook strore. Non vedo l’ora di sapere cosa ne pensate :). Piccione viaggiatore, segnali di fumo, telefono senza fili: usate quel che volete, ma fatemi sapere cosa ne dite!

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