Pubblicato originariamente su Il Colophon il 2 febbraio 2017.


Le raccolte di racconti si presentano in molti modi: frammentarie, coerenti, con tanti soggetti, con punti di vista limitati. La trilogia del glicine si scosta dalla tradizionale frammentarietà che ci si aspetta quando si parla di racconti. Questa raccolta sembra (quasi) un romanzo breve. Tutte le vicende si svolgono (o partono o arrivano) dalla locanda di Piedeldosso, nel cui giardino si trova un glicine ultracentenario “che raccontava come fosse un uomo”. Il lettore viene catapultato in un piccolo angolo di mondo, in cui si intersecano molte vite e molte vicende storiche, come spesso accade nelle locande dei crocevia. Il glicine racconta tante storie, di cui è testimone imparziale: da Bruno che accompagna un Rossellini più interessato alla locandiera Nella che alla bella attrice americana con cui viaggia; a Mario, appassionato di ciclismo e testimone, grazie alla radio della locanda, della volata di Bartali; passando per scrittori, industriali e gente comune, fino ad arrivare all’attentato a Togliatti. Dalla Nella, la vita procede così: di storia in Storia, con il solo glicine a conservarne la memoria. Il Novecento si intreccia alle vicende personali, senza pretendere più attenzione di quanta le storie piccole siano disposte a dargli. Si parla di cinema, di politica, di sport, di personaggi famosi, di persone comuni; il tutto senza far affezionare il lettore (e l’avventore della locanda) a nessuno e a niente in particolare.
In questa raccolta i personaggi compaiono, scompaiono, fanno capolino, si rincorrono, lasciano passare la vita (a volte senza prenderne parte). A Pazzaglia interessa raccontarci una piccola finestra sul mondo fatta di passioni, di quotidianità, di vita di paese, di incontri, di lavoro. Nemmeno Nella, oste e cuoca sempre presente e attenta, ci dice tutto di sé: ascolta in disparte, partecipa qualche volta, lavora perlopiù. Il glicine (e quindi il narratore) è indifferente alle dinamiche umane: le capisce, ma non ne è partecipe. Gli aneddoti si susseguono senza un peso specifico: Nuvolari ha lo stesso peso di Gentile — la cameriera dell’osteria –, il nuovo frigidér ha lo stesso peso della bici alla bersagliera con cui Bruno raggiunge la sua fidanzata, il Tour de France conta come l’officina di Mario e Steno.
Tutto fa notizia. Niente fa notizia. Tutto conta. Niente conta. Ognuno è importante. Chiunque è importante.
I racconti de La trilogia del glicine sono così: atipici — ma normali, indipendenti — ma collegati, avvincenti — ma quotidiani. Ha senso presentare questo libro come una raccolta di racconti? Ci troviamo a leggere di personaggi ricorrenti, vicende collegate, luoghi specifici, perché non presentarlo come un romanzo breve? Secondo la definizione Treccani, un racconto è “relazione, esposizione di fatti o discorsi, spec. se fatta a voce o senza particolare cura, oppure se relativa ad avvenimenti privati”. Quindi la risposta è: in parte sì, in parte no. Pazzaglia, attraverso la narrazione del glicine, pone il lettore in un flusso narrativo complesso e curato (e questa è la parte no della risposta). Un flusso che abbraccia indistintamente vicende private e pubbliche, ma tutte raccontate da un punto di vista intimo, privato (e questa è la parte affermativa della risposta): i personaggi pubblici e il Novecento sono sì parte della narrazione, ma, per il glicine, sono solo sprazzi, lampi di origine e destino ignoto. Tutte le vicende (siano esse personali o storiche) sono presentate come brevi ed intimi segmenti di vite: Rossellini che si abbuffa di carne mentre scopre dei disegni seicenteschi sui muri della locanda; la Nella che sorride agli ospiti mentre cucina; Nuvolari e Ferrari che giocano a carte con gli avventori mentre viene consegnato il nuovo frigidér — ma nessuno ci crede; Gentile che prepara il caffè durante l’attentato a Togliatti. Fino all’ultima parola, il lettore spia, come il glicine, da una piccola finestra sul mondo.


Immagine di copertina: Joy VanBuhler287/365 – Magazines – Flickr CC BY NC ND