“Carissima è un sacco che non passi!”.

“Eh, cosa vuoi, sto lavorando ad un nuovo progetto…”

Prendo in prestito questo piccolo scambio avuto con la mia verduraia (adorabile contadina da cui prendo i prodotti direttamente, ma questa è un’altra storia) per annunciare anche qui Civic hacking: comunità informali, prototipi e Open Data, il nuovo progetto a cui sto lavorando con Matteo.

Cosa vuol dire “progetto”? Perché non libro?

Civic hacking è innanzitutto un libro, perché non chiamarlo con il suo nome? La verità è che di civic hacking in Italia si parla poco, ma se ne fa parecchio. Io, da brava cantastorie, sento l’esigenza di raccontarle queste cose, non solo in maniera statica – una volta stampato il libro resta tendenzialmente com’è. Sento l’esigenza di partecipare a conversazioni intorno al tema, di raccontare progetti, di sottolineare il positivo.

Sappiamo che il civic hacking esiste, ma ha bisogno di maggior attenzione: crediamo sia davvero un argomento che merita un filone tutto suo. Quindi, dopo aver capito che il libro avrebbe parlato di civic hacking, ci siamo detti: bene, di sicuro altri ne avranno parlato nel corso degli anni. Anche se recente, non è mica nato ieri.

Ci siamo sbagliati: ci siamo resi conto che in italiano non c’è nulla che approfondisca specificatamente il tema del civic hacking, anche se in Italia ci sono molti progetti e molte storie che meritano di essere conosciute e raccontate e che sono civic hacking per davvero. Raccontarle potrebbe stimolare una riflessione collettiva, specie per farle diventare delle buone pratiche.

Come vedi, anche Matteo ha bisogno di andare oltre al libro.

Per quanto mi riguarda, sono stanca di cadere nell’inganno del “se le cose sono sempre andate così, andranno ancora così” (e ci cado più spesso di quanto vorrei). Sono stanca perché è una bugia: me lo hanno dimostrato molte volte le persone della comunità di Spaghetti Open Data. Sono stanca perché è un errore: ci sono moltissimi italiani che si prendono cura della cosa pubblica, non solo tecnici o smanettoni. Sono stanca perché è uno stereotipo: credo sia difficile da sradicare proprio perché non c’è una narrazione concorrente, positiva, mantenendosi onesta, non tecno-entusiasta.

Quindi Civic hacking è un progetto, un tentativo di andare oltre, di hackerare lo spazio limitato del libro. Come? Oltre a scrivere il libro (se passi a trovarci, vedrai che il libro si sta inghiottendo la nostra casa), curiamo una newsletter settimanale (se ti interessa, compila pure il form che trovi a questo link http://eepurl.com/cUKXyH) e segnaliamo cose su Twitter usando #CivicHackingIT (lo monitoriamo anche, nel caso tu voglia segnalarci qualcosa lì). Parliamo come mangiamo per noi non è uno slogan: uno dei primi punti che abbiamo chiarito tra di noi è che ne abbiamo le tasche piene di professoroni che si riempiono le bocche di parole e non dicono nulla. Siamo parte di questo momento storico e di questo “movimento”, perché dovremmo usare parole vuote per raccontare storie piene di significato? Perché dovremmo presupporre di sapere tutto, quando ogni giorno c’è un nuovo modo per prendersi cura della cosa pubblica?

Raccontaci la tua storia di civic hacking!

Ai raduni di Spaghetti Open Data ho imparato ad ascoltare: moltissime persone all’interno della comunità mi hanno raccontato atti di cambiamento straordinari per il semplice fatto che prestavo loro orecchio. Economisti, giornalisti, cittadini, informatici, dipendenti della Pubblica Amministrazione. Molti mi hanno raccontato le loro storie, permeandole di “ma cosa vuoi che sia?” oppure “non è niente di particolare”, non sapendo che a me quei racconti sembravano straordinari, come le persone che li facevano. Straordinari per il semplice fatto di essere stati fatti: trovare un problema – per quanto piccolo – e studiarne una soluzione. Atti straordinariamente ordinari.

Tutto questo cosa ha a che fare con te? Tutto o niente, dipende. Dipende soprattutto da te, da come ti vedi nel mondo.

Serve riflettere su come diventare resilienti e includere altri che vogliano mettersi in prima linea e cogliere la bellezza e la fatica di questo modo di essere, per lasciarsi guidare dalla curiosità di rompere le cose e capire come sono fatte, come funzionano e poi migliorarle. Magari scoprendo che funzionano con pezzetti diversi, grazie a ricombinazioni differenti.

Se in questa visione ti riconosci; se hai una storia che coinvolga Open Data, prototipi, comunità informali e/o zone grige (quelle strane possibilità che si creano a volte. Parafrasando Pareto, l’innovazione sta nel creare nessi nuovi tra cose note); se hai fatto qualcosa di concreto per un problema reale (vuoi un paio di idee? Questo è quello che stanno facendo a Puerto Rico, questo è quello che stanno facendo dopo il sisma dello scorso anno, questo è quello di cui stanno parlando in Brasile). Tutti questi se, nel caso siano sì, sappi che vogliamo sentire la tua storia! Nonostante il libro non sarà un’antologia, vorremmo che i civic hacker italiani raccontassero con la loro voce quello che fanno, mentre io e Matteo definiremo cosa fa di un civic hacker, un civic hacker.

non solo tecnologia, ma un modo per scardinare vecchie abitudini, un modo per riprendersi il proprio ruolo di cittadini, un modo per risolvere problemi.

Ci interessa la tua esperienza: le persone cambiano, ma si spera che gli atti di hacking restino, si evolvano, trovino nuove soluzioni. Hai tra i 500 e i 3000 caratteri(spazi inclusi) per raccontarci il tuo atto di civic hacking. Raccontaci che problema hai individuato, come l’hai risolto (o hai tentato di risolverlo – anche le difficoltà trovano spazio), con chi (se vuoi mettere i nomi, ricordati di dirci anche che tipo di competenze hanno portato) e perché, secondo te, è un atto di civic hacking.

Nel caso tu decida di raccontarci la tua storia, per favore leggi ATTENTAMENTE le linee guida. Non è cattiveria, ma se non rispetti le indicazioni perdi tempo tu e perdiamo tempo noi.

Detto ciò, spero di inserire anche la tua storia tra quelle a cui ho prestato orecchio ;).

 

Ps. per mantenere la conversazione, aggiornerò il blog più spesso. Anche Matteo si è impegnato a raccontare qualcosa del processo nel suo di blog (http://www.dagoneye.it/blog/), nel caso ti piaccia di più una narrazione dal punto di vista di un “famoso civic hacker”.