Pubblicato originariamente su Il Colophon il 9 giugno 2017.


Craistang è un professore di lettere frustrato (dall’infanzia, dalla scuola, dalla vita) e ripete ossessivamente “immaginazione non significa menzogna” ad ogni tema riconsegnato. Ai suoi studenti Craistang chiede continuamente temi sulla famiglia o sull’essere bambini, “una di quelle stravaganze da professore che creano una leggenda”, quasi questi racconti possano riempire il vuoto lasciato dall’infanzia perduta. Ma gli studenti inventano, copiano dalla TV, dai giornali, dai fumetti. In poche parole mentono. Al professore arrivano racconti riciclati, pallidi spettri delle esperienze che potrebbero soddisfarlo. Allora lui si inalbera e urla a destra e a manca la sua frase, la sua firma. E gli studenti lo odiano. Igor Laforgue, Joseph Pritsky e Nourdine Kader non fanno eccezione, come dimostra il disegno di una folla inferocita che insegue Craistang. Il professore, scoperto il disegno, assegna loro un tema nuovo, diverso dai precedenti: “Una mattina ti svegli e ti accorgi che, durante la notte, sei stato trasformato in adulto. In preda al panico, ti precipiti in camera dei tuoi genitori. Loro sono stati trasformati in bambini. Racconta il seguito”.
Ognuno dei tre ragazzi scrive il tema a modo proprio, ma l’intero trio si sveglia la mattina seguente in un corpo invecchiato di una trentina d’anni a testa. Con dei genitori tornati bambini.
“Quelli sanno? O fanno come se non fosse successo niente?
IGOR (categorico): Sanno, ma non lo ammetteranno mai.
JOSEPH: Perché?
Perché sono felici, rispose Nourdine”.
Tutti i protagonisti del romanzo (i tre studenti, i loro genitori, il professore) scopriranno che il significato del tema è proprio quello: non mettersi nei panni degli altri, ma capire cosa rende felici. Non un generico desiderio d’infanzia/di maturità, ma una precisa scoperta della differenza tra i due stadi.
La narrazione è affidata a Pierre, il padre di Igor morto di malattia. Un fantasma furbo e onnisciente che permette al lettore di immergersi completamente nella storia, di cambiare continuamente punto di vista, di provare la disperazione dei bambini-adulti e degli adulti-bambini. Un fantasma rimasto sulla terra per ridare un po’ di gioia, non per vendetta.
Pierre è solo uno dei personaggi secondari che popolano la Belleville di Signori bambini: compagni di scuola, professori, prostitute, poliziotti, parenti, nonni sono solo alcune delle figure di questo romanzo. Ognuno tormentato dai propri piccoli (o grandi problemi), indipendentemente dall’età. Problemi e difficoltà che non risparmiano i signori bambini: il cruccio di Joseph è un nonno che lo ama a metà (solo la sua metà non goyim); Igor è costretto a prendersi cura della madre caduta in depressione dopo la morte del marito e Nourdine ha a che fare con il peso dell’abbandono abbinato all’identità di migrante di seconda generazione.
Craistang, il professore odiato e temuto, si rivelerà essere un Giano bifronte: causa e soluzione del problema. Cattivo perché ignorato. Ferito perché inascoltato. Frustrato perché dimenticato. Alla fine, per i tre protagonisti e per il lettore, Craistang risulterà essere uno specchio, più che un antagonista, una speranza più che la fonte di terrore promessa all’inizio della vicenda.
Pennac spiazza il lettore con una narrazione leggera, ma che non scansa temi molto complicati come l’integrazione, la morte, il rimpianto, l’identità, la malattia — anche mentale. Ci accompagna in un mondo in cui i bambini non sono semplicemente piccoli o complicate versioni in miniatura degli adulti. Lo scrittore ci porta in un mondo in cui gli adulti non sono pieni di rimpianti, ma di mancate occasioni di felicità, per questo spaventano e inquietano. Signori bambini è un bellissimo esperimento di realismo magico, di umanità e di come “immaginazione non significa menzogna”.


Immagine di copertina: Joy VanBuhler287/365 – Magazines – Flickr CC BY NC ND