Pubblicato originariamente su Il Colophon il 5 febbraio 2018.


Francesca Serafini è una sceneggiatrice, un’editor e una linguista. Ha pubblicato svariati libri sulla punteggiatura e sulla storia della lingua italiana. Una vera e propria intellettuale. E una tifosa di calcio. Per quanto l’abbinamento possa sembrare bizzarro, in questo saggio l’autrice dimostra come il calcio abbia bisogno di una narrazione diversa: il calcio non è solo uno sport ma una metafora legata a doppio filo alla narrativa. La prima operazione che fa è smontare il calcio in alcuni elementi essenziali: lo sport, le squadre, la fedeltà dei tifosi, il pallone, lo stadio. Dopodiché, l’autrice allarga lo sguardo: che impatto ha avuto questo sport nella storia dell’Italia? Quanto pesa nella vita personale di ognuno di noi? Quanto questo sport ha cambiato il linguaggio e la narrazione italica?
“È del bambino cercare di rompere il giocattolo — che sia per saggiarne la resistenza o per capire come è fatto e come gli riesce il miracolo di intrattenerlo — ma finché saremo in grado di ricomporre i pezzi, che ci piaccia o no, il calcio intanto, come tutti i fenomeni destinati a produrre meraviglia, sta lì: solidamente impiantato nella nostra storia nazionale come un monolite abbacinante nel quale ognuno è sicuro di riconoscere i colori della propria squadra — e in quelli i segni di una predestinazione — e attorno a cui in molti continuiamo a saltellare incantati in attesa che si compia un miracolo ancora”.
L’autrice zompetta tra i suoi ricordi personali e tra i suoi personali riferimenti culturali, fino a confondere il lettore. Tutto è calcio: film, filosofia, libri, film, cene di famiglia, viaggi, luoghi. Tutto sembra collegato a questo sport: “a pensarci, abbiamo usato il campo di calcio come un palinsesto. Il termine — che oggi ha specializzato il suo significato nel settore televisivo — originariamente indicava una pergamena sulla quale si poteva imprimere un testo che poi poteva essere raschiato per scriverne un secondo. Un po’ come il campo verde, appunto, dove ogni domenica si ricomincia una partita. Gérard Genette però ci ha spiegato che per quanto possa essere accurata la raschiatura, una traccia del testo precedente resta sempre: e in questo modo ha introdotto i concetti di intertestualità e ipertesto molto prima di internet, del web, dei link e degli strumenti che mettono a disposizione del lettore gli e-book, spiegandoci come sempre un testo non sia altro che una porta per entrare nella dimensione di un altro ancora”.
Il calcio (e l’essere tifosi) è una scusa per parlare d’altro: la Serafini scrive di contraddizioni, di storia, di letteratura, di coerenza, di critica. Sembra quasi parlare di tutto, meno che di calcio. In realtà, per l’autrice il calcio è vita. Non solo per la celebrazione settimanale di muscoli e carne che viene fatta negli stadi, ma, soprattutto è una parte identitaria della vita. Serve a chiarire la matassa dei ricordi, serve a concretizzare l’oceano di stimoli intellettuali, serve a dividere il tempo e lo spazio. Serve dimostrare che “molta della fortuna del calcio sia dovuta proprio al fatto che riesce a dare sintesi alla contraddizione […]. Pensateci: non c’è niente di più accogliente per chi si sente rassicurato dalla ricorsività — mi riferisco ai suoi appuntamenti fissi, alla ciclicità inossidabile dei suoi calendari — eppure ogni sua manifestazione è il dominio dell’imprevisto. Che sia dovuto al lampo di un fuoriclasse, come la punizione impossibile calciata da Diego Armando Maradona con la maglia del Napoli contro la Juventus di Michel Platini (3 novembre 1985). O che sia determinato dall’intuizione di un lavoratore del pallone in occasionale stato di grazia, come la rovesciata fuori area contro il Barcellona di Mauro Bressan, centrocampista della Fiorentina (1° novembre 1999): retrospettivamente, l’unica buona ragione — con entrambe le squadre già qualificate alla fase successiva della Champions League — per guardare quella partita. L’imprevisto, naturalmente, ha in sé un rischio: e cioè l’eventualità che possa portare a una delusione, tanto più cocente proprio perché inattesa. E qui, se parteggiate per una squadra, a questo punto vi dovete immaginare una casella vuota da riempire con la ferita — tutti i tifosi ne hanno almeno una, ed è già un lusso se non avete l’imbarazzo della scelta — che ora vi sarà tornata subito in mente (fa male, lo so, ma non c’è sadismo nella sollecitazione)”. In questo saggio, l’autrice è prima di tutto una tifosa, poi un’intellettuale, ma le due cose non sono scollegate. Se il calcio definisce le categorie intellettuali, è impossibile che il pensiero non definisca il calcio e il suo ruolo vitale.


Immagine di copertina: Joy VanBuhler287/365 – Magazines – Flickr CC BY NC ND