Pubblicato originariamente su Il Colophon il 9 giugno 2018.
Cosa significa essere soli in Giappone?
Per Taguchi Hiro e Ohara Tetsu due cose diverse. Il primo è un giovane Hikikomori: un ragazzo che ha deciso volontariamente di isolarsi completamente dalla società. Il secondo è un signore maturo che passa le sue giornate in un parco perché incapace di confessare alla moglie di essere stato licenziato. Incontriamo Hiro durante la sua prima uscita dopo due anni rinchiuso nella sua camera da letto. “È la nostra panchina, quella su cui sto seduto. Prima di diventare la nostra, era stata la mia. Ero venuto qui per capire se la crepa nel muro, quella finissima incrinatura dietro gli scaffali, valeva dentro come fuori. Due interi anni avevo passato a fissarla. Due interi anni nella mia stanza, in casa dei miei genitori. […] A volte desideravo che il sole mi sfiorasse. […] Una fredda mattina di febbraio cedetti a quel desiderio […] andai tastoni lungo le pareti della mia stanza fino alla porta, la aprii con una spinta, mi misi il cappotto e le scarpe, più piccole di un numero, uscii per strada e fiancheggiai case e piazze. Nonostante il freddo, il sudore mi scorreva sulla fronte e provavo per questo una strana soddisfazione: Ci riesco ancora. Riesco a mettere un piede davanti all’altro. Non l’ho disimparato. Tutti gli sforzi per disimparare sono stati inutili.