A quanto pare, come scrivere un libro a più mani sembra essere una domanda interessante. Lo dico perché alla frase “sto scrivendo un libro con Matteo” o “stiamo scrivendo un libro insieme”, segue inevitabilmente un perplesso “Ah… Ma come funziona?”.

La risposta è molto semplice: uno fa tutto e l’altro procura fette di torta e spuntini. Ovviamente, sto scherzando ;)! Permettimi di fare un po’ di ordine (e rispondere con tante tante parole a questa domanda).

Le sfide

Non ho mai scritto nient’altro a quattro mani (ad essere totalmente sincera, una volta ci provai con risultati disastrosi, grande frustrazione e pezzo non pubblicato). Se cerchi una guida passo passo su come farlo, puoi smettere di leggere immediatamente: non sono un’esperta di scrittura collettiva, sono convinta che ognuno, alla fine, lo faccia a modo proprio, a seconda di con chi lavora.

Qui troverai la descrizione sommaria di come ci dividiamo il lavoro e perché. Più alcune difficoltà che abbiamo incrociato nel percorso. La prima è normalizzare i propri stili personali. Come si fa? Nel nostro caso, abbiamo lavorato moltissimo prima di cominciare a scrivere. Ci era già capitato, in passato, di dover fare delle scritture “congiunte”, ma erano più cose di ghostwriting per me: lo stile doveva essere quello di Matteo, io dovevo adattarmici. Alla lunga, Matteo, leggendo i miei scritti con il suo stile, ha cominciato a scrivere meglio (parlo di grammatica e di leggibilità) e io ho imparato a riconoscere le costruzioni che facevano parte del mio stile, i miei darling. Questa è stata la nostra prima palestra, utile, ma niente a che vedere con il libro.

Quindi, con il libro? La parte più consistente del lavoro pre-scrittura è stata definire una “sensazione” per Lui: che tono di voce volevamo avesse? Che pubblico? Quali libri avremmo voluto trovarci vicino in libreria? Cosa volevamo che fosse? Cosa non volevamo che fosse? Che tipo di saggi piacciono ad entrambi? Perché? Prima di scrivere anche solo una riga, Lui – il libro – aveva la sua identità unica ed esplicita. I nostri stili personali si devono costantemente adattare alle risposte che abbiamo concordato, il che implica, molto banalmente che alcune cose non possono entrarci (per esempio, uno dei miei darling è il tono vagamente ammiccante, il che, mi sembra ovvio, non può avere sfogo in un libro serio).

Dopodiché, abbiamo entrambi ripassato la grammatica.

Quindi, in pratica?

Il libro ha una voce, delle regole, un’identità.

Cominciamo a scrivere. Se ti stai chiedendo da dove, ci siamo divisi l’indice. Un parte del processo pre-scrittura è stata definire in maniera chiara argomenti, struttura e indice (ho sbrodolato abbastanza su come l’abbiamo fatto in un altro post). Detto questo, ci siamo (spontaneamente o spintaneamente) assegnati le parti da scrivere: Matteo le cose più tecniche, io quelle più di storytelling (e le introduzioni alle storie che abbiamo raccolto).

In un comodo elenco puntato, le cose per me vanno più o meno così (per Matteo anche, ma con i ruoli invertiti):

  1. Controllo cosa devo scrivere.
  2. Fase di ricerca. Se devo approfondire, lo faccio: leggo libri, cerco articoli sul web, controllo le informazioni che ho nella testa. Se capito in qualcosa che può essere interessante, ma non per quello che sto scrivendo ora, lo salvo in una comoda “discarica delle idee” (un foglio condiviso con Matteo).
  3. Riordino le idee. Io sono, tendenzialmente, pigra, quindi per me è fondamentale sapere cosa scrivere PRIMA di cominciare a farlo. Se gli argomenti sono particolarmente complessi, faccio una mappa mentale su carta oppure un piccolo elenco puntato. Una cosa che Matteo tendenzialmente fa (e che per me sarebbe deleteria) è mettere ordine nei propri pensieri mentre scrive, materialmente spende meno tempo nel punto 3 e più nel punto 4 di questo elenco. Come ho detto, per me questo approccio non funziona: ho già detto che sono un panster nella scrittura, ma mi rendo conto che è perché passo molto tempo nella mia testa a fare l’avvocato del diavolo.
  4. Scrivo. Metto le parole in fila, niente di più cercando di stare attenta a errori ortografici e grammaticali.
  5. Revisione. Matteo rilegge, rivede e corregge quello che ho scritto (soprattutto per controllare che io non abbia semplificato troppo o che le cose non siano in linea con il tono del libro). Io faccio lo stesso con le cose che scrive lui. Entrambi stampiamo su carta, correggiamo su carta e poi riportiamo su Scrivener (io le correzioni di Matteo sui miei pezzi, Matteo le mie nei suoi).

Detta così, sembra tutto molto lineare, ma in realtà, ogni settimana siamo entrambi in ogni fase per pezzi diversi. L’idea è arrivare alla fine dello sviluppo dell’indice (e ci stiamo arrivando) con una bozza già revisionata ed omogenea.

E la newsletter?

Per quella il processo è simile, ma diverso. Abbiamo un calendario editoriale di massima (che aggiorniamo ogni sei/otto settimane): ci mettiamo gli argomenti che vogliamo coprire, gli eventi interessanti, i blogpost che vogliamo scrivere, le traduzioni che devo fare io, i goal settimanali per il libro. Gli argomenti delle newsletter li riportiamo nel Trello, in una scheda con la data di scadenza.

Da qui:

  1. Cerchiamo i link: usiamo la scheda nel Trello come braindump e inseriamo tutto quello che, secondo noi, è interessante.
  2. Seleziono i link. La settimana della newsletter faccio una scrematura del materiale che abbiamo recuperato, in base al tono che voglio dare al numero, alla complessità dell’argomento che affronta, alla “pesantezza” del numero nel suo insieme (e rispetto agli altri numeri. Diciamo che se abbiamo fatto due newsletter molto seriose, cerco di non infilarci la terza di fila).
  3. Cerco nella libreria. La nostra newsletter è fatta di tre link e un libro, quindi, ogni settimana va cercato un testo (ma non sempre la definizione di “testo” implica solo libri). Di solito, io decreto il vincitore (sempre in base al tema/tono del numero, ma anche in base alla reperibilità), le proposte, però, sono di entrambi: due cervelli sono comunque meglio di uno.
  4. Scrivo i testi e impagino la newsletter. Se ti piace il tono della newsletter, beh, grazie: è merito mio. Se non ti piace, è sempre merito mio. In questa fase, mi preoccupo anche di tutti i microtesti collegati: titolo, sottotitolo, tweet automatico, una cosa che si chiama “social cards” (una funzione di Mailchimp che ti permette di personalizzare l’anteprima per i social della newsletter).
  5. Matteo fa il controllo finale. Per me, è fondamentale che l’ultima lettura non sia mia: il cervello tende a correggere gli errori di battitura e, pur con tutti gli strumenti che ho sviluppato negli anni, qualcuno rischia sempre di scapparmi. Controlla che i link inseriti siano giusti e corrispondano a quello che è descritto nel testo. Ovviamente, controlla anche tutti i microtesti, poi imposta l’invio automatico.

Cosa succede se una frase è scritta bene, ma ancora non “suona”? Che si tratti del libro, della newsletter, dei blogpost, delle traduzioni ci lavoriamo sopra. Per prima cosa, vediamo se contiene uno dei nostri darling (Matteo adora le forme passive, ad esempio), dopodiché rifraseggiamo, correggiamo, riscriviamo finché non troviamo una quadra.

Cosa cambia rispetto a scrivere da soli?

Far parte di una redazione, come di fatto questo progetto è, è più semplice, ma anche più complesso, rispetto a lavorare da soli.

Più semplice, perché due cervelli sono meglio di uno.

Più complesso, perché due cervelli sono meglio di uno.

Scrivere a quattro mani è un’esperienza che tocca vari aspetti della tua scrittura: dallo stile al modo di creare una storia (anche se si tratta di saggistica, è sempre una storia che stiamo creando. Non è un caso che si parli di storytelling anche per cose diverse dalla narrativa). Si rende necessario parlare spesso e volentieri del progetto: gli aspetti gestionali hanno altri mezzi, ma le idee che nascono dal confronto diretto no (quindi, piccolo consiglio non richiesto, nel caso tu stia pensando di scrivere qualcosa con qualcun altro, assicurati che questo qualcun altro non ti stia proprio sulle scatole in modo intollerabile). Bisogna confrontarsi e trovare continuamente strade diverse per arrivare ai risultati (diverse, da quelle che adotterei da sola). Bisogna, nel nostro caso, essere molto delicati: essendo una coppia, non possiamo permetterci di urlarci contro o sfogare la frustrazione del libro uno sull’altro (ma credo valga per qualsiasi collaborazione).

Il fatto di dividersi il carico, però, è un grandissimo incentivo a continuare: i momenti di stanchezza si alternano tra i due autori, quindi, essendoci sempre almeno uno dei due entusiasta, il progetto rischia meno di essere abbandonato. In più, è un buon modo di rispettare delle tempistiche più strette: se lavori con qualcuno, è più difficile perdersi nelle ricerche o rimandare alla settimana successiva.

Insomma, scrivere a quattro mani è una bella sfida! Se leggi in inglese, ti consiglio questa discussione su Quora in cui ci sono anche punti di vista diversi dal mio.