Pubblicato originariamente su Il Colophon il 9 giugno 2016.


Questo libro, edito nel 1980 da Rizzoli, è il seguito de Una scelta di vita, la prima parte dell’autobiografia — soprattutto politica — di Giorgio Amendola. “Venne il giorno della partenza” sono le prime parole del libro, che ci catapultano nella vita dell’autore: Amendola sceglie il momento della sua partenza per il IV Congresso del Partito Comunista per cominciare a dipanare i fili della sua storia personale, ma anche della Storia, quella dei cambiamenti epocali, quella dei nomi noti. Questi due aspetti si intrecciano continuamente nel racconto di Amendola, che sceglie comunque di avere una voce ‘privata’, quasi domestica, anche riguardo ad alcuni grandi eventi degli anni Trenta del Novecento (ad esempio narra del suo incontro con un dirigente del PCI ricordando il risotto “francamente scotto” preparato dalla moglie del dirigente).
L’autore, nato nel 1907 a Roma, aderì al PCI a seguito della morte del padre, dovuta a complicazioni in seguito ad un pestaggio fascista (per una biografia di Giorgio Amendola più approfondita si consiglia di consultare la pagina dedicata nel sito della Fondazione Amendola). Le dinamiche interne e l’evoluzione del partito, soprattutto per quanto riguarda la sezione italiana, sono le vere protagoniste di questo libro: i cambiamenti politici sono strettamente connessi con la vita personale di Amendola, tanto da essere, a volte, gli unici ricordi che l’autore condivide con i suoi lettori.
A quale isola si riferisce il titolo? Ponza, dove l’autore era al confino? Non solo. Amendola ci guida attraverso una serie di isole metaforiche che lo riguardano direttamente e indirettamente. A livello politico, l’autore riflette abbondantemente sulla necessità di un “comunismo nazionale”: un’isola rispetto al comunismo russo, incapace di cogliere le vere problematiche delle sezioni nazionali. La seconda allusione alla duplicità delle isole (appartate, ma comunque parti di uno Stato sovrano) è legata alla contrapposizione tra la quasi normalità della clandestinità e la necessaria regolazione della vita in carcere. Amendola, infatti, ci racconta dell’una e dell’altra soprattutto attraverso Germaine — la sua compagna. Nella clandestinità seguita al IV Congresso del Partito Comunista il rapporto con Germaine è ordinario: fatto di appuntamenti, di balli, di momenti assolutamente comuni, in forte contrasto con la situazione del partito. Durante il periodo di prigionia e confino, la compagna diventa la voce che sottolinea la stranezza delle condizioni in cui si trovano a vivere (come ad esempio il dover tenere sempre visibili tutte le loro stanze a Ponza). L’autore sviluppa una terza metafora, squisitamente letteraria. Amendola, infatti, usa i libri come isole su cui attraccare e sviluppare sia una conoscenza del mondo, che una fonte di svago. Come se fosse il passeggero di una crociera, l’autore ‘sbarca’ di libro in libro cercando risposte, avventure e domande.
Amendola è anche europeo ante litteram. La centralità dell’organizzazione comunista — e la posizione ‘dirigenziale’ dell’autore all’interno dell’organizzazione stessa — obbligano lo scrittore a viaggiare da Parigi, a Roma, a Strasburgo, a Napoli, a Zurigo. Per chi scrive (figlia degli anni Ottanta), immaginare una così ampia libertà di movimento in un continente diviso da confini politici e ideologici risulta estremamente difficile. Ognuno di noi ha dei personali pregiudizi nei confronti della Storia: come se fosse qualcosa di distante e che coinvolge personaggi, più che persone. La bravura dell’autore consiste proprio nel ricordarci che non è così: far parte del partito comunista significa anche essere obbligati ad ospitare persone che violano — volenti o nolenti — l’intimità della tua casa; essere al confino significa non poter accedere a riviste e libri donati da amici e familiari per via della censura; il carcere significa ingrassare di dieci chili; i fratelli minori sono sempre fonte di apprensione; le partenze sono sempre dolorose. Amendola chiude il suo scritto alla vigilia della seconda guerra mondiale: “Pochi vedevano lucidamente i pericoli delle pretese hitleriane […]. Germaine ed io vivemmo quelle settimane nella lucida coscienza di ciò che si stava preparando. Quando le annunciai che dovevo partire per il sud, sembrò che dovessi partire per la guerra […], la guerra non ci sarebbe stata per il momento […]. Io non partivo per la guerra, ma per una breve e non pericolosa missione [… nonostante ciò] per noi la guerra cominciò quella sera, in quella stazione, tra quegli ignari richiamati e le famiglie piangenti. E sarebbe stata lunga e dura. Avrebbe preso sei anni della nostra vita”.


Immagine di copertina: Joy VanBuhler287/365 – Magazines – Flickr CC BY NC ND