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Libri in pubblico dominio? Roba da hacker!

Qualche giorno fa ho tenuto a Bassano del Grappa un mini corso sui libri nel pubblico dominio. Ho parlato principalmente di LiberLiber, Wikisource, Progetto Gutenberg e altri spacciatori di libri liberi.

Ne parlerò diffusamente la prossima settimana, ma sono troppo felice per non esprimere pubblicamente la fortuna che avuto: un sacco di domande intelligenti da parte dei presenti.

La domanda scatenante

Oggi voglio raccontarvi due cose a cui ho pensato a seguito di questa domanda:

“Perchè in Liberliber i libri in epub sono così pochi e perchè non si aggiornano?”

Alla signora che l’ha chiesto ho risposto che Liberliber dipende dal contributo volantario delle persone che, a volte, hanno periodi intensi e non riescono a fare tutto quello che si sono prefissate (tipo convertire un file in epub).

Tutti abbiamo bisogno degli hacker -  Attribuzione foto

Tutti abbiamo bisogno degli hacker – Attribuzione foto

1. I contributori di Liberliber sono hacker

La realtà è che sono sì volontari, ma prima di tutto i contributori sono hacker: persone abituate a vedere un problema (la necessità di avere un formato standard, in questo caso) e cercarne la soluzione (ossia metterci dentro le mani).

Hacker, non cracker. La distinzione è fondamentale: gli hacker risolvono i problemi, i cracker sono quelli che fanno danni.

Perchè i volontari di Liberliber sono hacker?

Liber Liber è una o.n.l.u.s. (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) che ha come obiettivo la promozione di ogni espressione artistica e intellettuale. In particolare, Liber Liber si propone di favorire l’utilizzazione consapevole delle tecnologie informatiche in campo umanistico e di avvicinare la cultura umanistica e quella scientifica. – Dal sito di Liberliber

Questa è una definizione decisamente sterile. Quello che succede in Liberliber (e negli altri spacciatori di liberi liberi a contributo volontario), in realtà, è che una serie di sconosciuti usano il loro tempo per riappropriarsi della cultura, attraverso le loro competenze informatiche e non solo. Non si fanno riconoscere, ma lavorano per noi! Grazie!

2. I libri liberi abilitano lo spirito hacker

Secondo me tutti, siamo un po’ hacker nella nostra vita: il camminatore che tiene vivo un sentiero passandoci sopra ogni giorno; la casalinga che va a fare la spesa con il carrello rivestito dalla stoffa che ha scelto e cucito lei; i fanatici di Arduino che sembrano moderni MacGiver e creano cose buffe e utili con un chip e un pezzo di scotch (esagero ovviamente); chi lascia i libri in Bookcrossing; chi prende l’autobus o la bici perchè auto ce ne sono abbastanza; chi corregge una voce in Wikipedia e via dicendo.

Insomma i gesti di “hacking” quotidiano sono moltissimi.

Qualche giorno fa mi sono imbattuta nei “pericolosissimi” bibliotecari-hacker :D.

A Cologno Monzese hanno realizzato un progetto in cui, tra le altre cose, hanno arricchito Pinocchio, in edizione libera e digitale, di contenuti multimediali (immagini per lo più). Sembra una sciocchezza, ma non lo è. Significa mettere le mani in pasta per migliorare un contenuto, significa remixare e riutilizzare, significa ripensare la lettura e sfruttare al meglio le possibilità offerte dall’accesso libero.

Sono molto curiosa di vedere come procederà il tutto.

Nel frattempo, se vi chiedete perchè le persone passino il loro tempo a migliorare le cose per gli altri, vi consiglio la lettura di Surplus Cognitivo di Clay Shirky (di cui ho già parlato in un post qualche settimana fa) acquistabile su Bookrepublic a 9.99 euro http://bit.ly/Surplus_cognitivo .

Se siete curiosi riguardo ad hacker e dintorni, un testo non diffusissimo, ma decisamente piacevole è Elogio della pirateria di Carlo Giubitosa scaricabile gratuitamente e con licenza Creative Commons dal sito di Stampa Alternativa.

Non so quale dei due sia più adatto alla festa della mamma, che dite? 😀

 

Libri liberi: Wikisource

Questa settimana si è rinnovato il direttivo di Wikimedia Italia. La maggior parte delle persone sarà portata a pensare “e che me ne fotte a me?”, ma io, dato che posso bullarmi di conoscere i tre quinti di suddetto direttivo, non posso passare oltre :). Inoltre, il 23 parlerò di un altro wikiqualcosa a Bassano: Wikisource (oltre che di altri spacciatori di libri liberi!).

Wikimedia? Ma non era WikiPedia?

A questi grandissimi b..urloni piace un sacco chiamare le cose con nomi vagamente simili: Wikimedia, Wikipedia, Wikidata, Wikisource, Wikiquote, Wikizionario, etc. etc.

Se fossi una brava grafica (che non sono) farei una comoda immagine che spiega i vari intrecci, ma, dato che sono più brava con le parole proverò a spiegarlo con un lungo pippone introduttivo (se lo saltate non mi offendo!).

Le basi: Wiki+qualcosa

Wiki

Nonostante quello che sembra, i responsabili della nominazione non sono dei pazzi, nè sono innamorati del suono ‘uichi’ (che ricorda tanto il uichend) :).

Il wiki è un sito web che permette ai propri utenti di aggiungere, modificare o cancellare contenuti attraverso un browser web […].

Si tratta in altre parole di una raccolta di documenti ipertestuali che viene aggiornata dai suoi stessi utilizzatori e i cui contenuti sono sviluppati in collaborazione da tutti coloro che vi hanno accesso (contenuto generato dagli utenti), memorizzati normalmente su un database […]. Lo scopo è quello di condividere, scambiare, immagazzinare e ottimizzare le informazioni in modo collaborativo.

Il termine “wiki” indica anche il software wiki, il software collaborativo utilizzato per creare il sito web e il server web ospitante.

Defnizione dalla pagina Wiki di Wikipedia

Qualcosa

Il “qualcosa”, di solito, è la definizione di cosa si può aggiungere o modificare (wiki – quote: modifichiamo i quote, ossia le citazioni). Giusto per rendere le cose un po’ più complicate, a volte non significa niente (PEDIA?), a meno che non si segua l’assonanza del suffisso con il prefisso (insomma si legga tutto insieme): wiki – pedia > enciclo – pedia >AHNNNN! :).

L’organizzazione (da quello che ho capito)

Wikipedia funziona concettualmente come Google: quest’ultima è un’azienda e una piattaforma di servizi (search, mail, mappe, analytics, etc.). Noi li chiamiamo tutti Google, ma sono cose diverse. Non voglio dire che Wikipedia = Google, solo cercare di fare un paragone.

Quindi, seguendo il paragone, se Google Inc. è l’azienda a Mount View, Wikimedia è il suo corrispettivo (in Veneto si dice, el paròn – padrone – dei peri).

Wikimedia è un’organizzazione internazionale non-profit benefica il cui scopo è incoraggiare la crescita, lo sviluppo e la distribuzione di contenuti liberi, in molte lingue, e di fornire gratuitamente i progetti basati sul wiki al pubblico. Wikimedia Foundation gestisce alcuni dei più grandi progetti di collaborazione del mondo, inclusa Wikipedia, uno dei 10 siti più visitati al mondo.

Dalla pagina principale di wikimediafoundation.org

Pensando a  Google come servizio principale (motore di ricerca) e punto da cui accediamo agli atri servizi, Wikipedia fa più o meno lo stesso: è il progetto collaborativo primario curato da Wikimedia e ci permette di accedere agli altri servizi. Come per Google, anche per i wiki fratellini e sorelline della Pedia sono accessibili da link diretti (mail.google.com – it.wikisource.org).

Come funziona (più o meno) -  Attribuzione immagine: Wikimedia

Wikimedia e i wiki fratellini e sorelline –  Attribuzione immagine: Wikimedia

Wikisource, finalmente

Wikisource, a mio modesto parere, è il wikifratellino più interessante per gli appassionati di libri.

Lo scopo di questo progetto è

di realizzare una biblioteca digitale dedita alla riproduzione e conservazione di testi editi.

Wikisource si pone come una biblioteca

  • digitale
  • libera
  • wiki

L’essere aperto alle modifiche degli utenti è per il progetto un punto di forza che garantisce dinamicità e continua innovazione. Ogni aspetto della struttura, ogni convenzione di formattazione, ogni politica comunitaria può essere discussa, cambiata e migliorata. – Dalla pagina Cos’è Wikisource?

Tradotto in parole povere, Wikisource è una grande biblioteca digitale (si parla di versioni ebook di testi già pubblicati su carta), collaborativa (i materiali sono caricati e revisionati da qualsiasi persona abbia voglia di farlo) e libera (tutti i testi presenti sono nel pubblico dominio, cioè fuori da copyright; o con licenza CC-BY-SA, attribuzione e condividi allo stesso modo). Contiene solo TESTI, niente foto, video, musica: per quello c’è il progetto Wikimedia Commons.

10 motivi per cui secondo me Wikisource è importante

  1. Salva i libri dal dimenticatoio, il che permette la circolazione della cultura e ci sentiamo tutti un po’ più intelligenti;
  2. Ci sono quasi 150.000 pagine di contenuto: tanta carta trasformata in bit;
  3. Magari a me dei matematici italiani anteriori alla stampa, frega ben poco, ma qualcuno ci ha scritto una tesi di laurea. Il che signifca che il testo originale sui matematici non è andato perduto e la tesi è stata letta da qualcuno, oltre al relatore. Sono soddisfazioni!;
  4. Se partecipi alle letture, ti danno le medaglie (lo so che lo fa un affarino automaticamente e che non cambia la vita, ma sù bisogna godere delle piccole cose);

    Wikisource: le medaglie!

    Wikisource: le medaglie!

  5. Affidandosi al caso, si scoprono cose interessanti (cliccando “un libro a caso” sono finita nelle Opere di Galileo: al momento non me ne faccio nulla, ma quando ho preparato l’esame di Storia del pensiero scientifico mi avrebbe fatto risparmiare qualche euro);
  6. Il confronto con le opere originali. Il processo di inserimento di un testo in Wikisource, parte dalle scansioni originali dei testi (un file che si chiama dejavù e sì, lo ammetto, ho riso tanto per il .djvu): il che significa che tu vedi l’aspetto del libro di carta, oltre che il testo contenuto. Medium e messaggio sono entrambi esplicitati;
  7. E’ una community. I wikisourciani caricano libri, li rileggono insieme, creano nuovi tool per facilitarsi il lavoro, si incontrano al bar;
  8. Libri gratis;
  9. Libri liberi;
  10. Libri.

Ovviamente, non è tutto oro quel che luccica: essendo un progetto wiki (ossia comunitario) non è detto che la community abbia fatto le scelte nel modo in cui le faremmo noi. Un esempio? Per sapere quali e quante opere ci sono a SAL 100% (quanti libri, non solo pagine, sono stati completamente riletti e sono, quindi, al livello finale di digitalizzazione) ho smadonnato in più lingue di quante conosca e la soluzione è stata chiedere ai piani alti. Per me, è un’informazione fondamentale, per la community forse meno ;).

Devo dire, però, che sapere che c’è una community di preservatori del sapere mi fa stare bene: mette tutti noi un passo più lontani dai roghi di libri!

Vi ho convinto a fare un giro su Wikisource?

Si possono condividere gli ebook?

Mi capita spessissimo, prima che me ne renda conto la frase magica “ho letto questo libro fantastico, te lo presto!” esce dalle mie labbra. Molto più velocemente di quanto sia disposta ad ammettere. Capita anche a voi?

Questa strana mania dei lettori di voler prestare i libri

Con i libri cartacei, problemi non ce ne sono: la prima volta che ci si vede si fa il passaggio di mano. Ovviamente con me il tutto è accompagnato da minacce da mafia russa: “se me lo perdi ti troverò ovunque tu sarai e vedrai la mia ira”; “se non me lo rendi per me sei morto”; “se me lo rovini farò a te quello che hai fatto a lui”, etc. (i miei amici lo sanno e non vedono l’ora di vedere quale bizzarria tirerò fuori dal cappello 😀 ma nessun amico è stato sfregiato per la realizzazione di questo post).

Sii gentile, restituisci ciò che ti viene prestato! -  attribuzione foto

Sii gentile, restituisci ciò che ti viene prestato! – attribuzione foto

Esiste un diritto alla condivisione degli ebook?

Questa settimana lascio che siano le parola del buon Andrea Zanni, presidente di Wikimedia Italia, a rispondere. Andrea ha scritto il capitolo “Hai diritto di condividere gli ebook?” per il Kit di sopravvivenza del lettore digitale, ebook sull’ebook curato da Tropico del libro che, a mio modesto parere, è una lettura fondamentale per tutti gli editori digitali. Più o meno, è quello che i lettori vorrebbero poter fare con gli ebook (e non sempre possono).

Esiste un diritto alla condivisione di ebook?
La risposta è (come sempre): dipende.
Credo sia sacrosanto il diritto di poter mandare ad un amico una mail con allegato un ebook, mentre cosa diversa è condividere la propria collezione di migliaia di ebook attraverso le reti di file sharing…
Ma partiamo con ordine.

Un ebook non si presta, si condivide

Saltando la questione DRM (quella fastidiosa tecnologia che ti permettere di accedere ad un ebook solo su sei dispositivi collegati alla stessa licenza), con i libri digitali i prestiti diventano difficili. Il problema principale è proprio la condivisione: un ebook non lo si “presta”, lo si condivide.

È importante capire infatti che, in realtà, nel mondo digitale la parola “prestito” è scorretta. Ed è scorretta, d’altra parte, anche la parola “regalo”.
[…] Definiamo “prestito” quando prendo un libro dal mio scaffale e lo passo ad un amico, per un tempo finito e definito. Per tutto il tempo che il mio amico terrà con sé il mio libro, io non potrò leggerlo, ne sarò privato. La mia copia ce l’ha lui.
Se questo intervallo di tempo diventa indefinito (cioè se io rinuncio al mio libro, e voglio lasciarlo al mio amico) questo libro diventa un regalo. (Se invece è il mio amico a tenersi il libro, senza il mio esplicito regalo, tecnicamente possiamo chiamarlo furto).
[…] Se ti presto il mio ebook, io avrò sempre a disposizione la mia copia. Perché nel digitale le cose si moltiplicano (i libri come i pani e i pesci).

Decidere di condividere un ebook ha delle conseguenze sia sociali che economiche. Socialmente, noi lettori siamo inclini a far girare un libro che ci è piaciuto. Io per prima i libri cartacei li presto parecchio (anche se solo a persone selezionate). Economicamente, come per i libri cartacei, gli editori ritengono che una copia prestata è una copia non acquistata, quindi potenzialmente danneggia l’editore. Come se ne esce?

Regole fisse non ce ne sono. La mia regola personale (soggettiva e opinabile) è trovare un equilibrio. Se la mia condivisione mi rende un buon amico, favorisce una collaborazione, è orientata a pochi amici selezionati e posso ragionevolmente pensare che non danneggi l’editore, allora condivido. [..]
Però non metterei su un server gigabyte di ebook sotto diritti (lo faccio invece con libri di pubblico dominio, su Wikisource). Condivido con gli amici, prima di tutto.
Credo che il concetto di comunità, di collaborazione, sia un’ottima guida per quel che riguarda la collaborazione. Devo pensare alle conseguenze del mio gesto, positive e negative. Poi (poi) clicco Invio.

Personalmente, sono abbastanza d’accordo con Andrea. La soluzione sarà opinabile, ma il buon senso mi pare la risposta. Gli amici fidati, quelli a cui presterei anche i libri di carta, non sono poi così tanti e non tutti sono dotati di ereader. Non condividerei mai i libri con sconosciuti o su reti peer-to-peer.

Libri liberi

Quelli che invio senza nessuna paura, sono gli ebook a cui il copyright è scaduto :D.

Abbiamo parlato di condivisione di libri elettronici coperti da diritti d’autore. Ma ci sono libri che si possono prendere e scaricare e passare a chiunque, legalmente, perché il loro copyright è scaduto. Sono decine di migliaia, e da tempo (dal preistorico 1971) esistono siti e biblioteche digitali che permettono di leggere e rileggere questi classici fuori copyright. Ecco alcune biblioteche libere:

Un elenco più aggiornato ed esauriente è qui.

E voi dei libri che fate? Li prestate? li custodite gelosamente?

Ps: il post completo di Andrea lo trovate nel suo blog: http://aubreymcfato.com/2014/01/29/la-condivisione-di-ebook/ che, pur non esistendo, è sempre un’ottima lettura.

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